Il Fascismo


LA VIDEO STORIA DEL FASCISMO (Parte 1)





LA VIDEO STORIA DEL FASCISMO (Parte 2)




L'uso più proprio del termine, che fa riferimento al fascio littorio dell'antica Roma, deriva dai Fasci italiani di combattimento fondati nel 1919 da Benito Mussolini. L'ideologia del movimento fu inizialmente composita e confusa; vi confluivano infatti elementi nazionalistici (quali il sentimento della vittoria mutilata, vale a dire la delusione per l'insufficiente espansione territoriale italiana in seguito alla guerra vinta), influenze anticlericali, repubblicane e del sindacalismo rivoluzionario, miti della violenza e dell'atto di coraggio propri del futurismo e della cultura irrazionalistica in generale. Il programma del movimento si riprometteva tra l'altro la convocazione di un'assemblea costituente, la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese e la costituzione di uno stato corporativo incentrato su un'assemblea legislativa dei produttori, eletti dalle collettività professionali o di mestiere. Il fascismo si qualificò però subito soprattutto come un movimento antisocialista che ricorreva apertamente alla violenza. Una delle prime manifestazioni di forza fu la distruzione della sede milanese dell'"Avanti!" (15 aprile 1919). Nel contesto della profonda crisi economica e sociale dell'Italia, in cui l'attivismo del movimento operaio e socialista (biennio rosso) attaccava le posizioni delle classi dirigenti senza però avere forza sufficiente per realizzare un mutamento sociale, mentre il liberalismo borghese appariva troppo debole per risolvere la crisi nel quadro delle istituzioni parlamentari e della democrazia politica, il movimento fascista finì per diventare punto di riferimento per strati sociali via via più numerosi. Da un lato vi erano interessati quei ceti che apparivano posti al margine dello scontro sociale, come la piccola borghesia della bassa burocrazia pubblica e privata, dei commercianti al minuto, dei piccoli proprietari e insegnanti, il cui prestigio sociale era minacciato e i redditi erosi dall'inflazione; d'altro canto la conflittualità operaia sfociata nel biennio rosso preoccupava anche il capitale finanziario e industriale e la grande proprietà agraria (ma anche i mezzadri padani), che presto si resero conto che gli accenti anticapitalistici erano di secondaria importanza nel fascismo e ne divennero finanziatori in funzione antiproletaria.

Lo Squadrismo. Da qui il rapido ingrossarsi del movimento e la contemporanea formazione di squadre d'azione, protagoniste nel 1920-1921 di migliaia di assalti a camere del lavoro, cooperative, amministrazioni comunali rosse, militanti socialisti e cattolici. Furono intanto costituiti anche sindacati ispirati all'ideologia corporativa, che erano spesso diretti da esponenti provenienti dal sindacalismo rivoluzionario. Si veniva così a creare la base di massa del fascismo, a partire dalle campagne padane, dalla Toscana e dalla Puglia, mentre più difficile era la penetrazione nelle roccheforti operaie di Milano, Torino e Genova, pur ugualmente ferite dalla violenza squadrista. Nel novembre 1921 il movimento si trasformò nel Partito nazionale fascista (Pnf), che nel suo programma abbandonò ogni coloritura demagogica per presentarsi esplicitamente come una forza di destra, che poneva ai vertici dei valori la Nazione e lo Stato, la conciliazione delle classi finalizzata allo sviluppo della produzione. Furono anche abbandonati gli accenti anticlericali e la pregiudiziale repubblicana. Con la tolleranza del governo e delle forze dell'ordine il fascismo puntò a costituire proprie forze paramilitari, protagoniste di una serie di sopraffazioni che toccarono il culmine dopo il fallimento del cosiddetto sciopero legalitario, indetto nell'agosto 1922 dalle sinistre in funzione antifascista. Il 28 ottobre successivo le squadre armate del fascismo, provenienti da tutto il paese, diedero luogo alla marcia su Roma e il re Vittorio Emanuele III diede a Mussolini (deputato dal 1921) l'incarico di formare un nuovo governo, cui non negarono il proprio appoggio anche liberali e cattolici in funzione antisocialista. Nel successivo ventennio, durante il quale Mussolini tenne sempre la guida del governo (riservandosi anche numerosi altri ministeri), si possono individuare due fasi. Durante la prima, tra la marcia su Roma e il 1925, non vennero operate brusche rotture istituzionali rispetto alle forme dello stato liberale. Il primo governo Mussolini fu sorretto anzi da una larga coalizione che comprendeva esponenti liberali, nazionalisti (poi confluiti nel Pnf) e del Partito popolare (poi estromessi nel 1923), il parlamento non venne sciolto e la libertà della stampa e dei partiti fu rispettata, almeno formalmente; tuttavia il regime si qualificava già come autoritario. Gli amplissimi poteri concessi al governo dalla legge 3 dicembre 1922 per il riordino del sistema tributario e la pubblica amministrazione esautorarono di fatto la camera dalle sue funzioni; al parlamento venne inoltre affiancato un organo di partito, il Gran consiglio del fascismo, per il momento solo consultivo (sarebbe stato legalizzato nel 1928) incaricato di preparare i principali provvedimenti legislativi. Nel 1924 venne inoltre adottato con la legge Acerbo un sistema elettorale maggioritario, che assegnava due terzi dei seggi della Camera alla lista che avesse ottenuto il maggior numero di voti. Nel nuovo parlamento, eletto quell'anno, il listone fascista ebbe così la maggioranza assoluta.

Il Regime. Questa prima fase giunse a compimento nel gennaio 1925, quando Mussolini decise di rivendicare al fascismo la responsabilità politica dell'omicidio del parlamentare socialista Giacomo Matteotti, avvenuto all'indomani delle elezioni, che aveva scatenato un'ondata di indignazione nel paese e indotto gran parte dei deputati dell'opposizione ad abbandonare i lavori parlamentari (secessione dell'Aventino). In seguito a questi eventi la seconda fase del regime fu aperta da un complesso di provvedimenti emanati nel 1926 (leggi fascistissime o leggi eccezionali) che decretarono lo scioglimento dei partiti d'opposizione e il potere legiferante dell'esecutivo, istituirono il Tribunale speciale per la difesa dello stato, abolirono l'elettività dei sindaci sostituendoli con podestà di nomina regia e concessero il riconoscimento giuridico ai soli sindacati fascisti abolendo il diritto di sciopero. Parallelamente si rafforzò il potere personale di Mussolini, proclamato duce del fascismo, capo del governo e non più responsabile innanzi al parlamento; nel 1928 la nuova legge elettorale subordinò definitivamente la Camera al fascismo, sostituendo il suffragio universale con un plebiscito su una lista unica di candidati proposti dalle confederazioni dei sindacati fascisti e dei datori di lavoro. La dittatura si consolidò quindi come un blocco di potere in cui predominavano gli interessi dei maggiori gruppi industriali e finanziari, ma caratterizzandosi anche per la sua base di massa relativamente ampia. Per allargare il consenso infatti il regime allargò lo spettro della legislazione sociale, seppure spesso in modo solo formale e comunque diseguale, utilizzò modernamente i mezzi di comunicazione di massa (soprattutto il cinema e la radio) per orientare l'opinione pubblica verso il culto del duce, propagandare le realizzazioni modernizzatrici del fascismo e le ambizioni imperiali dell'Italia; soprattutto però si avvalse di strutture assistenziali, culturali e ricreative legate al Pnf o ai sindacati, che avvolsero tutto il paese nelle loro strette maglie. La debolezza nella strategia del consenso risiedette invece soprattutto nella politica economica del regime e, più tardi, nella proclamazione delle leggi antiebraiche (1938) e quindi nella scelta di partecipare alla Seconda guerra mondiale accanto alla Germania nazista. Dopo che il Gran consiglio ebbe decretato il crollo del regime mussoliniano (25 luglio 1943), l'eredità delle originarie posizioni populistiche e anticapitalistiche del fascismo venne ripresa da Mussolini stesso come puntello ideologico della Repubblica sociale italiana.